Ormai non è inconsueto girare per le vie delle città e vedere insegne che raffigurano la tanto discussa foglia dalle cinque punte. Luce verde quasi d’obbligo, per lo più sfondi neri e lei disegnata lì, come simulacro della sua presenza all’interno di quel determinato negozio.
Sono i Weed shop, le cui aperture non dovrebbero lasciare più di stucco. Infatti, la legge n.242 del 2016 ha definito le disposizioni per la coltivazione della cannabis light e la promozione della filiera agroalimentare. Farine, cosmetici, oli, carburanti e tanto altro. Una legge che tutela chi coltiva canapa e chi produce derivati da questa entro specifici limiti. Quello da tenere necessariamente sotto controllo è il livello di THC. Criterio indispensabile per non essere accusati di detenzione di sostanze illegali. Il risultato è: la Cannabis Light, con un livello di THC che non superi lo 0,2%, è legale. Questo è ormai un dato di fatto.
Tra le vie di Roma ci siamo noi, Hemp Act. Un’azienda che si occupa di commercializzare e valorizzare i prodotti derivati dalla Canapa Legale, quella sativa delle migliori qualità, provenienti da coltivazioni controllate e senza aggiunta di additivi chimici. Al di là dell’intento notevole di voler chiarire che la cannabis light non è una sostanza pericolosa e nonostante la volontà di voler diffondere un pensiero e una cultura che vada oltre i pregiudizi, siamo una realtà commerciale. Qual è l’anima del commercio? La pubblicità. Sugli old e new media. Come si comporta la cara e vecchia arte del raccontare i prodotti davanti a un articolo escluso dal mercato italiano da decenni?
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2018: per alcuni è ancora tempo di Censura
Questo è uno dei tanti controsensi che investono l’argomento della Cannabis Light qui in Italia. In realtà stavolta potremmo, volendo, non essere così campanilisti. Perché anche negli Stati Uniti d’America, per esempio, è capitato a qualcuno di dover fare i conti con la censura a causa di qualche sponsorizzazione, diciamo così, “fuori luogo”.
Vecchi e nuovi mezzi di comunicazione sono i principali protagonisti e le risorse necessarie per chi ha interesse, necessità o esigenza, che sia commerciale o no, di arrivare più o meno immediatamente sotto gli occhi del maggior numero di individui possibile. Che sia per sponsorizzare prodotti, per condividere idee e progetti, per far sentire la propria voce il più lontano possibile. Siamo nella società dell’informazione e la pubblicità fa la parte da leone. Ingannevole o meno, politicamente corretta o scorretta, tentatrice o semplicemente utile per informare e far conoscere qualcosa, la propaganda investe in modo quasi invadente le nostre case, i giornali, il nostro pc.
Jingle che entrano in testa, claim martellanti che diventano tormentoni e che ancora dopo vent’anni riescono a rappresentare l’anima e l’identità di quella determinata merce. Sì, merce. Essenzialmente solo una materialità fatta di sostanza palpabile. Punto. Perché è la pubblicità che regala un’anima alle cose. Perché chiunque di noi assocerà i valori e le prerogative a quel determinato prodotto solo perché lei è riuscita a conferirle un’identità. Un po’ come Pinocchio. Un pezzo di legno che una fatina vivifica e fa diventare realtà. Così gli spaghetti non sono più solo un semplice impasto di acqua e farina. Ma diventano simbolo di una nazione, di unità, di casa. Perché la pubblicità non parla di merci, ma veicola valori.
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Insidiosa? Forse no, serve solo chiarezza
Il punto è proprio questo. Quando ciò di cui si deve parlare, quando quello che si vorrebbe pubblicizzare è un prodotto discusso attorno al quale serpeggiano tanti luoghi comuni, superstizioni e pregiudizi, e quando a volte le “regole” vengono lasciate in mano solo alla morale comune, che non è detto sia necessariamente la scelta migliore, potrebbero sorgere problemi. Noie e grattacapi. E allora tocca trovare delle soluzioni perché non si può rinunciare a sponsorizzare un prodotto che può avere mille impieghi, tra cui anche far variare l’alimentazione di tante persone, dai celiaci, ai vegani. Nell’epoca social è un delitto sacrificare, per esempio, le potenzialità delle rete. Pensate a cosa possono fare i social in quest’ambito. Raggiungere un mondo interno nella dimensione temporale di… un attimo! Quanto sicuramente questo sia un vantaggio è indiscusso ormai. Ma può diventare anche un problema? In teoria sarebbe facile poter credere di no, ma in realtà la risonanza che si può raggiungere utilizzando questi new media a volte può preoccupare qualcuno. O, semplicemente, può capitare di non riuscire a delinearne correttamente ambiti e competenze.
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La Cannabis Light può essere pubblicizzata. Ma attenti alle trappole!
Se compaiono cartelloni pubblicitari vicino alle scuole raffiguranti merendine, nessuno dice niente. Bottiglie di liquori giganti sugli schermi della tv. Prenderemo quell’amaro la prossima volta al ristorante. Non ci pensare che è alcool, e fa male. Se, mentre navighiamo su internet, ci compare davanti agli occhi una bella macchina nuova con una seducente donna poco vestita appoggiata sul cofano, forse qualcuno comincia a indignarsi. E scatta l’ormai classica, e forse noiosa, polemica sullo sfruttamento del corpo della donna, merce e non persona. Come se poi fosse questo il problema.
Ma andiamo ancora più in là. Se per caso, uno scuolabus porta sui suoi fianchi la réclame di un negozio che vende, attenzione, legalmente Cannabis Light, scoppia un mini panico. I social, con in testa Facebook, e Google, il campione fra i motori di ricerca, bloccano sulle loro piattaforme le pubblicità con il chiaro riferimento nei testi e nelle immagini alla cannabis. Anche se light. L’unica a poter essere sponsorizzata perché legale. Ma gli algoritmi informatici questa distinzione ancora non la fanno.
Tra personalità ancorate a modi di pensare un po’ standardizzati e forse poco informati (attenzione! nessuna etica o morale né insegnamento dietro queste parole!) e programmi digitali a volte “bigotti”, finora si sono concretizzati alcuni episodi in cui sono state bloccate o messe in discussione la propaganda legata alla Canapa. Ma in realtà non c’è alcun reale divieto prescritto dalla legge, fermo restando ovviamente che il materiale pubblicitario non faccia riferimento né in modo implicito (quindi figuriamoci esplicito) a utilizzi non ammessi.
La situazione obbliga a trovare degli escamotage. Soprattutto perché nell’era digitale non si può rinunciare a questo canale se si vuole avere successo. Ma soprattutto perché, al dilagare dell’aspetto puramente commerciale, la Cannabis Light e i suoi derivati hanno numerosi campi di impiego e soprattutto risultano essere utili da tanti punti di vista.
Si trovano modi, per esempio, per arginare gli automatismi di Facebook. C’è chi diventa blogger o influencer, chi usa il termine “infiorescenze” per non scrivere esplicitamente cannabis light. Il segreto resta comunque uno. Ed è il più importante. Tentare di rendere il messaggio pubblicitario il più chiaro possibile. Perché per i benefici legati all’utilizzo dell’olio di canapa, per sponsorizzare la leggerezza della farina ottenuta dalla pianta a cinque punte, per mettere in evidenza le mille proprietà della cosmesi a base di cannabis light, non occorre fantasticare molto. Basta dire la pura e semplice verità.
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